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EvolutivaMente, perché il Cambiamento è Crescita




Gennaio: Incontro con i genitori - progetto Scuola delle Emozioni Scuola materna L'Arcobalena


Lo scorso anno ho organizzato per la fine del progetto La Scuola delle Emozioni presso la scuola materna bilingue L'Arcobalena, un laboratorio genitori-figli in cui le mamme e i papà sono stati coinvolti in gruppo nelle attività di educazione emotiva insieme ai loro figli. E' stata un'occasione divertente e arricchente sia per i bambini che per i genitori e un modo diverso per stare insieme emozionandosi.
Quest'anno ho deciso di aggiungere a metà anno scolastico un ulteriore incontro, questa volta dedicato esclusivamente ai genitori. L'incontro verterà sulla gestione delle emozioni di genitori e figli e avrà un impronta teorico-esperienziale. Con i genitori parleremo e lavoreremo sulle difficoltà che si incontrano nella gestione ed educazione dei figli, soprattutto quando sono in gioco le emozioni.
A dicembre verranno comunicate le date precise!
Sarah

Corso di Alfabetizzazione Emotiva a Bracciano - 12 incontri da dicembre

 
"Giochiamo con le emozioni" é un percorso di Alfabetizzazione Emotiva per bambini di età compresa tra 6 e 7 anni, che avrà una durata di 12 incontri. Il progetto "Giochiamo con le Emozioni" è innovativo perché oltre alle più efficaci tecniche di educazione emotiva affianca tecniche di arte-terapia, musicoterapia, danzamovimento-terapia e ludo-terapia, molto gradite ai bambini. Queste tecniche non sono utilizzate in un'ottica terapeutica ma in una forma preventiva, quindi educativa.
Il percorso potrà essere attivato esclusivamente al raggiungimento del numero minimo di 8 bambini.

L'educazione emotiva è un processo lungo, che inizia già in famiglia. I bambini imparano in una modalità "passiva", ovvero attrave...rso l'esempio dei loro genitori (modeling). Ma l'intelligenza emotiva può essere appresa anche in modo "attivo", attraverso percorsi strutturati di alfabetizzazione emotiva.
È stato rilevato, attraverso diversi studi scientifici, che i bambini che sviluppano una buona gestione delle loro emozioni dimostrano di riuscire a calmarsi quando sono agitati, ad essere più attenti, a relazionarsi meglio con gli altri, a sviluppare una maggiore capacità empatica e a migliorare anche l'apprendimento e il rendimento scolastico.

Possono essere organizzati percorsi anche per bambini di diverse fasce evolutive e anche per ragazzi delle scuole medie.
Il percorso si svolgerà presso i locali dell'Istituto scolastico L'Arcobalena di Bracciano.
Per informazioni d.ssa Sarah Cervi 333.8547745.

Consulenza Donna Moderna

La mia ultima consulenza per un articolo apparso questo mese su Donna Moderna.
Suggerimenti per i genitori...
 
 

Alcuni stralci...

 
Quattro anni fà uscì, tra i "Grandi Manuali" della Newton Compton Editore, il mio libro sul valore dei permessi nella crescita del bambino, dal titolo: "Tutti i Sì che aiutano a crescere".
Pubblicherò su questo blog alcuni stralci così che possiate usufruirne...
 
Di seguito l'intro.
 
Introduzione
I limiti e le regole sono necessari alla protezione, fisica ma anche psicologica, e alla crescita dei nostri figli. Sono un orientamento nel cammino, segnano la direzione e tracciano le linee guida.
Tanto si è scritto e si è detto sull’importanza del dire i “No”, dell’impartire delle norme al fine di educare i bambini, per aiutarli a crescere. Personalmente, ritengo di fondamentale importanza che
nell’educazione del bambino si dia spazio ai “Sì” così come ai “No”. Questi ultimi però, a mio avviso, dovrebbero essere trasmessi in misura minore rispetto ai primi. Provo a spiegare perché con un esempio.
In psicoterapia, quando si stipula un contratto di cambiamento con l’utente la cosa fondamentale da porsi come obiettivo non è «non fare più qualcosa, non stare più male», bensì «fare qualcosa di diverso, di alternativo», ovvero «migliorare un qualche aspetto di sé o della propria vita». Infatti, nel processo di definizione del contratto, terapeuta e paziente devono costruirsi un quadro mentale, come un’immagine, dell’esito desiderato nel loro lavoro insieme. Questo esito è fondamentale che sia qualcosa di positivo, un Sì quindi, piuttosto che un No. Sviluppare aspetti di sé, risorse personali, piuttosto che smettere di essere o di comportarsi in un certo modo. Secondo il principio alla base dei sistemi di "visualizzazione creativa”, infatti, l’essere umano ha bisogno di orientarsi verso qualcosa di costruttivo piuttosto che verso qualcosa di restrittivo. Ciò significa darsi permessi.
Questo principio vale anche, e soprattutto, nell’educazione. Crescere significa sviluppare, espandere i propri confini, dunque incrementare, ampliare, potenziare... tutti termini che indicano appunto un’evoluzione. Per progredire, quindi, abbiamo bisogno di permessi. Da bambini ci aspettiamo che siano i nostri genitori a darceli per poter imparare come si fa, anche attraverso il loro esempio. Trovare l’equilibrio tra limiti e permessi, tra i Sì e i No, dovrebbe essere un obiettivo primario dell’educazione e, a dirla tutta, di non facile raggiungimento. Alle mamme e ai papà spetta davvero il più difficile dei “mestieri”, quello di genitore.
In questo manuale mi propongo di accompagnarvi in questa dimensione, quella dei permessi, dei Sì, dell’equilibrio con i No, per esplorare insieme il loro potere generativo per l’autostima e per la gestione delle emozioni, altra sfera, nell’ambito del processo educativo, molto importante.
Vedremo quali sono i bisogni evolutivi e quali tipi di Sì possiamo, e dobbiamo, dare ai nostri figli affinché crescano in modo sano. In questo viaggio attraverseremo le diverse fasce di sviluppo per esaminare quali permessi sono più utili nelle diverse età, dalla prima infanzia a quella adulta, lungo l’affascinante continuum evolutivo.
Nei paragrafi del primo capitolo farò una premessa introduttiva riguardo l’evoluzione del ruolo genitoriale e i bisogni dell’essere umano. È un’introduzione doverosa che ha l’obiettivo di spiegare esattamente cosa ci motiva per tutto l’arco della nostra vita e per comprendere, dunque, cosa è fondamentale tenere in conto nella progettazione dell’educazione dei nostri figli, al fine di aiutarli a crescere sereni. I bisogni, in effetti, sono il fondamento che ci attiva e ci dirige nel corso della nostra esistenza.
In questo manuale spiegherò anche i diversi tipi di Sì, come comunicarli in modo efficace, il potere dell’ascolto e dell’assertività, delle emozioni e della loro gestione, accennando ad alcune “strategie di sopravvivenza” per i genitori in situazioni critiche. Citerò degli esempi tratti dalla mia esperienza professionale ed esempi tratti dalla mia esperienza come genitore.
Educare non è semplice. Al contrario, è quanto di più difficile, impegnativo e faticoso. Il ruolo di genitore è, così come quello dell’educatore, in un certo senso una vera e propria “missione”. È un incarico importantissimo. Per questo, è fondamentale costruirsi una competenza che, a mio avviso, non può basarsi sul solo affidarsi all’istinto (che pure è importante seguire con i propri figli), ma che deve essere costituita da un progetto educativo ben pensato, e alla cui base è necessario ci sia la conoscenza di alcuni concetti basilari dello sviluppo e dei bisogni dei bambini. Nessuno di noi penserebbe mai di iniziare un nuovo lavoro senza sapere quali competenze siano necessarie per intraprenderlo e, tantomeno, senza avere la giusta preparazione. Spesso i neo-genitori, invece, si imbarcano nell’avventura della genitorialità senza sapere nemmeno a cosa vanno incontro, spinti dall’istinto materno o paterno... per poi ritrovarsi in difficoltà, trasferendo sui figli le loro insicurezze e spesso rischiando di far diventare i loro disagi problemi esistenziali dei figli.
 
 

 
 
 
 
 
 

 
 
 
 


Inizio Scuola delle Emozioni


Oggi inizio del nuovo anno scolastico per la "Scuola delle Emozioni", un progetto da me ideato e condotto all interno della Scuola dell'infanzia bilingue L'Arcobalena di Bracciano.
L'educazione emotiva è un aspetto molto importante per la nostra crescita psicologica perché ci fornisce strumenti utili a riconoscere, elaborare e, quindi, imparare a gestire le nostre emozioni. Prima iniziamo questo processo educativo più probabilità ci saranno di diventare sicuri di sé e felici.

I bambini hanno accolto con gioia l inizio delle attività di educazione emotiva e, coloro che erano gia presenti, ricordano praticamente tutto del programma dello scorso anno. 😊
 
Ma vediamo il Programma odierno:
 
3 ANNI
 Valutazione del clima emotivo della classe: ogni volta che entro in aula valuto lo stato emotivo in cui si trovano i nostri giovani alunni al fine di scegliere le tecniche di educazione emotiva più consone.
 Gioco "Il fiore magico": ci sediamo in cerchio, questa tecnica è utile per introdurre le attività, presentarsi in pubblico e autodeterminarsi, imparando a superare l eventuale timidezza.
 Gioco "Balla e stop": questo gioco è utile per sviluppare l autocontrollo.
 Ballo e canto la canzone della Gioia: introduzione dell emozione della Gioia
 Saluti in cerchio
 
4 ANNI
 Valutazione del clima clima emotivo della classe: ogni volta che entro in aula valuto lo stato emotivo in cui si trovano i nostri giovani alunni al fine di scegliere le tecniche di educazione emotiva più consone.
 Gioco "Il fiore magico": ci sediamo in cerchio, questa tecnica è utile per introdurre le attività, presentarsi in pubblico e autodeterminarsi, imparando a superare l eventuale timidezza.
 Tecnica di educazione emotiva "Riconosciamo le emozioni": tecnica di educazione emotiva per imparare a riconoscere le emozioni di base.
 Gioco "Balla e stop": questo gioco è utile per imparare a sviluppare l autocontrollo.
 Ballo e canto la canzone della Gioia: reintrodurre l emozione della gioia
 Gioco "La candela": tecnica di rilassamento psico corporeo
 Disegno il mio sogno: attività di arteterapia utile a focalizzare e consolidare il rilassamento sperimentato.
 Saluti in cerchio
 
5 ANNI
 Valutazione del clima emotivo della classe: ogni volta che entro in aula valuto lo stato emotivo dei nostri giovani alunni al fine di scegliere le tecniche di educazione emotiva più consone.
 Gioco "Il fiore magico": ci sediamo in cerchio, questa tecnica è utile per introdurre le attività, presentarsi in pubblico a autodeterminarsi, imparando a superare l eventuale timidezza.
 Tecnica di educazione emotiva "Riconosciamo le emozioni": oggi i bambini hanno riconosciuto le emozioni apprese lo scorso anno e hanno espresso le loro emozioni del momento.
 Attivita di arteterapia "Disegniamo la nostra emozione": tecnica utile a riconoscere l emozione provata in quel momento, esprimerla graficamente, elaborandola verbalmente.
 Gioco "Balla e stop": questo gioco è utile per imparare a sviluppare l autocontrollo.
 Ballo e canto la canzone della Gioia: reintrodurre l emozione della gioia.
 Saluti in cerchio
 
Alla prossima settimana!

RUBRICA "GUARDIAMOCI DENTRO" - QUARTA TAPPA: Fuori dalla nostra zona di Comfort



Cari "viaggiatori":-) eccoci arrivati alla nostra quarta tappa!
In questo percorso stiamo attraversando passaggi importanti, con l'obiettivo di acquisire nuove consapevolezze e iniziare a far muovere, dentro di noi, dei piccoli e grandi cambiamenti.
Abbiamo iniziato riflettendo su una delle paure più limitanti: la paura del giudizio degli altri. Questa paura ci influenza nel modo in cui ci relazioniamo agli altri ma in special modo a noi stessi. Finchè non sviluppiamo una buona auto-stima rischiamo di avere paura del giudizio degli altri. Poi siamo passati a definire cosa significa Amarsi, quindi in cosa consiste l'auto-stima e in cosa differisce dall'auto-efficacia. Siamo dunque passati ad esplorare la sfera della comunicazione, altro aspetto fondamentale dell'essere umano in quanto definisce la qualità delle relazioni che intessiamo con gli altri.
In questa quarta tappa torniamo su di noi, al nostro interno, per poi fare di nuovo un balzo all'esterno. La nostra crescita personale deve essere necessariamente un continuo susseguirsi di passaggi tra il nostro mondo interno e quello esterno. Quando mettiamo in essere questo movimento continuo tra dentro e fuori, ci permettiamo di riflettere su di noi mentre siamo attenti anche al nostro aspetto sociale e, quindi di evolverci come Esseri Umani.
 
Ma entriamo nello specifico.
Il già citato Maslow, ci ha fornito il suo modello sulla gerarchia dei bisogni dell'essere umano.
L'autore ha parlato di una serie di “bisogni” disposti gerarchicamente, in cui la soddisfazione di quelli più elementari è la condizione per far emergere i bisogni di ordine superiore.
 
 . 
Come vedi nella piramide, i primi bisogni che emergono alla nostra coscienza sono quelli detti "primari" ovvero i bisogni fisiologici. Soddisfatti questi, possiamo accedere ad un livello superiore in cui avvertiamo il bisogno di sicurezza. Qui sentiamo la necessità di essere e sentirci protetti, abbiamo bisogno di certezze e sicurezze. Fin dalla nascita, l'essere umano comincia a vivere delle esperienze interne (tutte le sensazioni corporee e le emozioni che iniziano ad emergere) e delle esperienze esterne (le cure che riceve dai genitori, gli avvenimenti quotidiani che vive) iniziando a formarsi degli schemi, dapprima senso-motori (che passano attraverso le sensazioni corporee) e man mano che cresce sempre più mentali (dove per mentali intendo schemi cognitivi-emotivi-comportamentali). Questi schemi andando avanti nella crescita tendono a stabilizzarsi.
Noi Umani abbiamo bisogno di dare una cornice alle cose che viviamo e, dunque, attiviamo quei filtri (gli schemi appunto) che ci permettono di orientarci nella nostra vita e anche di risparmiare energie. Questo riguarda ogni cosa: dal saper usare un oggetto (immaginiamo come sarebbe dover imparare da capo ogni volta che dobbiamo usare la macchina) alle relazioni, in cui tendiamo spesso a confermare le nostre idee su di noi, sugli altri, sul mondo e spesso anche a costo di ripetere i medesimi errori, le stesse dinamiche ogni volta. Questi schemi possono avere una natura "funzionale", ovvero sono utili e producono un beneficio nella nostra vita, oppure "disfunzionali" o altrimenti detti "irrazionali", nel caso in cui sono controproducenti e ci fanno vivere e stare male.
 
Ma allora perché se questi schemi disfunzionali ci fanno stare male tendiamo a ripeterli?
 
Oltre al fatto che queste "procedure" di pensiero, emotive e di comportamento, tendono a cristallizzarsi nel tempo, dobbiamo pensare a questi come a degli spazi in cui, anche se stiamo male, ci sentiamo "al sicuro", per tornare alla definizione di Maslow.
Parliamo di "comfort zone" o zona sicura. La zona di comfort la possiamo definire come un luogo in cui, basandoci sulle nostre convinzioni limitanti, non ci esponiamo al cambiamento e, dunque, all'insicurezza. Si perché uscire da questa zona sicura, in realtà, ci mette ansia. Fare nuove esperienze, provare nuovi modi di vivere, di pensare, di comportarci, in una parola il cambiamento, ci spaventa. Siamo esseri abitudinari.
 
Ma allora Sarah perché mai, se ci mette ansia, dovremmo uscire dalla nostra "cara" zona di comfort? mi chiederai...
 
Paulo Coelho ha detto "Se pensi che l'avventura sia pericolosa prova la routine. E' letale"!
Ovviamente per avventura intendo qui anche solo il fatto di fare cose nuove, di usare nuovi modi di porsi, nuove modalità di relazionarsi, nuove esperienze. Cose anche semplici che escono dai nostri soliti schemi mentali divengono "avventure" a volte ansiogene. Mentre la routine ci da sicurezza e al tempo stesso, però, ci limita.
Facciamo alcuni esempi: alcune persone si ritrovano a fare un lavoro che non gli piace ma che è "sicuro", vivendo una vita insoddisfacente pur di non affrontare ciò che c'è fuori dalla loro zona di comfort, per la paura di fallire. Oppure a volte le persone rimangono sole, nonostante vorrebbero degli amici, per la paura di essere rifiutate. E cosi via.
Ma se vogliamo davvero crescere dovremo liberarci delle nostre paure e fare un balzo fuori dalle nostre sicurezze. Quando ci tratteniamo nella nostra zona di comfort siamo come uccellini in una gabbia. Avete mai provato a liberarne uno che sta lì dentro da tempo? Nella stragrande maggioranza dei casi o non volerà affatto fuori dalla gabbia o vi tornerà. Perché fuori si sentirà insicuro.

Fuori dalla zona "confortevole" c'è la crescita e il cambiamento. E' vero può anche esserci il "fallimento" ma è importante sottolineare le virgolette, perché ciò che consideriamo fallimento è solo quell'opportunità che abbiamo di capire meglio come andare avanti. Il fallimento, l'errore, è insegnamento, è apprendimento. Senza apprendimento, quindi senza fallimento, non c'è cambiamento, non c'è evoluzione. Come si suol dire dialetticamente "Nessuno nasce imparato".
In una recente terapia con la musica una mia cliente ha descritto ampiamente l'andar fuori dalla zona di comfort, in questo caso metaforicamente, visto che stava facendo un'esperienza IEM (Immaginario Evocato con la Musica): "...mi trovo in un prato verde, bellissimo, c'è un salice piangente, bello, forte, con le sue fronde al vento...mi ispira sicurezza, serenità... vedo una casetta, c'è una porta...vorrei entrare ma non posso la porta è chiusa... rimango nel prato, sono al sicuro... vedo davanti a me un viale, penso che dovrei prenderlo per vedere cosa c'è al di là del prato... ma forse è meglio di no, mi sento preoccupata...". Volete sapere com'è andata a finire? Beh è uscita dalla sua zona di comfort e ha fatto un "viaggio" bellissimo, arricchente, entusiasmante.

In questa antica storia Zen di seguito leggiamo chiaramente, attraverso la metafora della mucca, cosa è importante fare quando ci troviamo in stallo o alle prese con la paura del cambiamento...

Uccidete la mucca
"Un monaco durante il suo pellegrinaggio venne ospitato da una famiglia di contadini. 
Gli offrirono un pezzo di formaggio e un po’ di latte, ma rimase in forte imbarazzo nel vedere che queste brave persone erano davvero poverissime.
Il monaco chiese come facessero a tirare avanti in quella capanna isolata e senza risorse di alcun genere.
La moglie del contadino rispose che, grazie ad una mucca che mungono ogni mattina, vendevano il latte alle famiglie che abitavano nelle vicinanze e sopravvivevano risparmiando i pochi soldi ricavati dalla vendita e mangiando un po’ di formaggio preparato con il siero.
La mattina dopo il monaco disse al contadino e sua moglie: "Ho pensato tutta la notte a cosa posso fare per voi e…vi dico di uccidere la vostra mucca subito!"
Il contadino e la moglie sorpresi dalle parole del monaco si disperarono e  si misero a piangere.
Erano molto affezionati all'animale, ma seguirono il suggerimento del monaco. Mentre lui riprese il suo viaggio.
Dopo due anni il monaco tornò a far visita alla famiglia di contadini e quello che vide  una situazione completamente diversa: al posto di una fattoria diroccata c’era una bellissima villa con giardino, allevamenti di animali, frutteti, orti e un bellissimo lago dove nuotavano pesci di ogni genere. 
Quando il capofamiglia vide il monaco lo abbracciò in lacrime ringraziandolo del suo consiglio che gli aveva cambiato la vita…
Venne accolto dai padroni di casa e gli fu offerto da bere e da mangiare. Sorpreso e felice che questi contadini avessero stravolto fino a quel punto il loro tenore di vita chiese di raccontargli cosa fosse successo dalla sua partenza.
Da quando non c’era più la mucca- gli raccontarono- ogni mattina si alzavano con la forte motivazione di doversi trovare un modo per guadagnarsi da vivere, e questo gli permise di conoscere gente nuova e affrontare situazioni che furono il motivo della loro fortuna.
Il capofamiglia non si era infatti mai reso conto prima che la mucca non gli permetteva di vivere ma solo di sopravvivere..."

Rimanere fermi nella zona di comfort è molto comodo, ma non è detto che sia costruttivo. Fin da bambini impariamo grazie al fatto che ci prendiamo dei rischi, che facciamo cose nuove, cose che non abbiamo ancora mai fatto prima: il bambino che inizia a camminare, quello che inizia la scuola, le prime amicizie, le interrogazioni e via dicendo. Tutte situazioni non facili, ma che una volta affrontate diventano "normali". Questo succede quando allarghiamo la zona sicura, man mano che sperimentiamo nuovi modi, che facciamo nuove esperienze il recinto si allarga e noi cresciamo.

Fai una lista di tutte le cose che popolano i tuoi sogni e immagina di poterle realizzare... cosa faresti, come saresti, se non avessi paura?

Buon viaggio!
Sarah

Una storia per riflettere...


La storia della matita

Il bambino guardò la nonna che stava scrivendo una lettera. A un certo punto, le domandò: "Stai scrivendo una storia che è capitata a noi? E che magari parla di me?" La nonna interruppe la scrittura, sorrise e disse al nipote: "E’ vero, sto scrivendo qualcosa di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita con la quale scrivo. Vorrei che la usassi tu, quando sarai cresciuto." Incuriosito il bambino guardò la matita, senza trovare alcunché di speciale. "Ma è uguale a tutte le altre matite che ho visto nella mia vita!" "Dipende tutto dal modo in cui guardi le cose. Questa matita possiede cinque qualità: se riuscirai a trasporle nell’esistenza, sarai sempre una persona in pace con il mondo.
Prima qualità: puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una Mano che guida i tuoi passi. "Dio": ecco come chiamiamo questa mano! Egli deve condurti sempre verso la Sua volontà.
Seconda qualità: di tanto in tanto, devi interrompere la scrittura e usare il temperino. E’ un’azione che provoca una certa sofferenza alla matita ma, alla fine, essa risulta più appuntita. Ecco perché devi imparare a sopportare alcuni dolori: ti faranno diventare un uomo migliore.
Terza qualità: il tratto della matita ci permette di usare una gomma per cancellare ciò che è sbagliato. Correggere un’azione o un comportamento non è necessariamente qualcosa di negativo: anzi, è importante per riuscire a mantenere la retta via della giustizia.
Quarta qualità: ciò che è realmente importante della matita non è il legno o la sua forma esteriore, bensì la grafite della mina racchiusa in essa. Dunque, presta sempre attenzione a quello che accade dentro di te.
Ecco la quinta qualità della matita: essa lascia sempre un segno. Allo stesso modo, tutto ciò che farai nella vita lascerà una traccia: di conseguenza, impegnati per avere piena coscienza di ogni tua azione."
 
Paulo Coelho

RUBRICA "GUARDIAMOCI DENTRO" - TERZA TAPPA: Comunicare consapevolmente, come fare?


Noi esseri umani utilizziamo, per comunicare, diversi canali. La comunicazione può essere verbale, non-verbale e para-verbale.
Oggi voglio parlarti della comunicazione verbale in particolare, che è il canale che gli Umani utilizzano con più difficoltà.
Ma perché è così complicato?
La comunicazione non-verbale è più spesso spontanea, immediata, a volte controllata, ma sicuramente lo è molto meno rispetto a quella verbale. Quando parliamo, a parte quando non riusciamo a "controllare" la nostra comunicazione perché presi da una qualche emozione emergente, stiamo sempre molto attenti a ciò che diciamo. Questo fatto potrebbe sembrare positivo... della serie "prima di parlare pensa", ma in realtà la comunicazione è spesso solo controllata, quindi poco spontanea e non "progettata".
Progettare cosa si vuole comunicare vuole dire altro, vuol dire essere consapevoli, prima di tutto, di ciò che si vuole e, quindi, di ciò che si sta comunicando.
 
Per far questo è utile seguire questi 4 punti fondamentali:
 
1. Analizza la situazione
Cosa sta effettivamente accadendo qui ed ora? qual' è la situazione?
Facciamo una "fotografia" di ciò che sta avvenendo. Senza interpretazioni, senza mettere in campo alcuna emozione. Cerchiamo di essere obiettivi.
 
Facciamo un esempio: una moglie pensa che il marito non abbia mai attenzioni per lei. Questa può essere una sua interpretazione, così come che sia la verità. Però, come può essere obiettiva se parte accusando il marito di non avere attenzioni? Non lo sarà.
La sua analisi della situazione dunque sarà: cosa interpreto come una mancanza di attenzioni? Magari capirà, facendosi questa domanda, che ciò che la fa star male è il fatto che il marito non la chiami più così spesso al telefono mentre è a lavoro, ad esempio. Quindi concretamente cosa ha smesso di fare il marito perché la moglie si senta trascurata? Ha ridotto il numero di chiamate. Non sa perché, quindi dovrà, se vuole comunicare consapevolmente, astenersi dall'interpretare questa come una mancanza di interesse nei suoi confronti. La moglie, parlando col marito, potrà dunque comunicare così la sua osservazione: "ho notato che da quando hai iniziato questo nuovo lavoro mi chiami meno mentre sei in ufficio".
 
2. Diventa consapevole delle tue emozioni
Cosa sento? Che emozione provo?

Questa moglie avverte una sensazione di preoccupazione e di tristezza quando si trova a che fare con il fatto che il marito la chiama meno da un po' di tempo, ben due emozioni! Emozioni ovviamente spiacevoli. Ma ciò che lei prova non dipende dal marito, dipende dall'interpretazione che lei dà di ciò che succede nella relazione con il marito.
Un'altra persona potrebbe interpretare questa situazione in modi che non gli suscitano tali emozioni sconvenienti.
Ma lei no, lei, questa moglie, pensa delle cose che sono squisitamente sue, caratterizzano lei, sono le sue idee disfunzionali, le sue paure, le sue convinzioni su di sé e sull'altro, in una parola il suo "mondo".
Identificare le emozioni che proviamo ci da la possibilità di iniziare ad elaborare, per risolvere, il nostro vissuto.
 
3. Definisci il tuo bisogno
Dare una definizione alle tue esigenze, ai tuoi bisogni ti aiuterà a comprenderti meglio e questo ti aiuterà ad uscire dal vortice della comunicazione inefficace o violenta, che spesso in modo inconsapevole mettiamo in atto.
 
Cosa sta esprimendo la mia emozione? Sto soffrendo perché?
 
Desidererei maggiori attenzioni, vorrei che mio marito non smettesse di chiamarmi, così come faceva. E magari, questa moglie, potrà avere la possibilità di capire che non è tanto il fatto che il marito abbia smesso di chiamarla frequentemente il problema, ma l'idea che lei ha di questo, ovvero che lei non è importante.
Ma, questa persona, è importante per se stessa?
Com'è la sua autostima?
Perché ha bisogno di conferme dall'altro?
Questo è importante che emerga... e potrà emergere solo se si farà delle domande e si concederà di trovare le sue risposte. Una volta individuati i bisogni insoddisfatti o le convinzioni disfunzionali sarà utile prendersene cura e non scaricarle sull'altro, incolpandolo di mancanze che sente lei, che riguardano più lei che lui.
 
4. Comunica chiaramente, il potere delle domande
Comunicare chiaramente significa far partecipe l'altro di ciò che senti, di ciò che hai capito riguardo a te stesso e riguardo alla relazione e porre domande all'altro, confrontarsi con lui.
 
La moglie preoccupata avrà l'opportunità, se comunica consapevolmente, di sciogliere i suoi dubbi sull'interesse del marito "sai amore ho notato che mi chiami meno da quando hai iniziato il nuovo lavoro, questo mi ha suscitato un certo disagio perché ho pensato che significasse che sei meno interessato a me, ma questa riflessione mi ha portato a capire che forse sono io che penso di non essere importante. Quindi volevo chiederti, come mai hai diminuito le tue chiamate?"
 
E così dicendo potrebbe scoprire che il marito è così preoccupato di questo nuovo ruolo che tutto il resto è passato momentaneamente in secondo piano e che non è vero che fosse meno interessato a lei. Potrebbe scoprire, quindi, che le sue idee non avevano nulla a che fare con la realtà, che spesso è diversa da quello che appare.
 
Applicando questi 4 passaggi riusciremo a superare una comunicazione che altrimenti potrebbe davvero risultare complicata e controproducente.
 
E tu come comunichi? Pensi mai che ciò che senti/pensi/credi possa non corrispondere alla realtà dell'altro?
Scrivilo nei commenti qui sotto...
 
 
 
 

RUBRICA "GUARDIAMOCI DENTRO" - SECONDA TAPPA: L'amore verso sè





"La relazione più importante, difficile ed emozionante è quella con se stessi"
(sex and the city)


Per questa seconda tappa del nostro viaggio insieme, ho pensato di parlarti di un argomento piuttosto important:  l'Amore verso sé.
Inizio con una domanda all'apparenza semplice ma alla quale, forse, farai difficoltà a rispondere: quanto amore nutri verso te stesso? quanto senti di amarti? e da cosa te ne accorgi?
Si lo so forse non è poi così semplice come domanda o... forse, non è così semplice comprendere quanto ti vuoi bene in realtà? Ma vediamo meglio cosa intendo.
 
Nella nostra prima tappa più volte ho fatto accenno al fatto che spesso noi valutiamo il nostro valore attraverso ciò che facciamo. Questo è sbagliato. Purtroppo è un errore che facciamo in molti, ma è pur sempre un errore.
 
A volte (spesso! purtroppo), non pensiamo con la nostra testa, ma ci adattiamo a pensare così come pensa la maggior parte della gente, così come la cultura ci impone, così come le figure di riferimento fondamentali nella nostra vita ci insegnano e trasmettono. Ma questa è una catena senza fine... finchè tu non ti rendi conto che basta! che non vuoi più pensarla in quel modo disfunzionale, in quel modo che ti fa soffrire, che non ti fa arrivare a quello che sarebbe il vero successo nella vita: quello di amare te stesso semplicemente per ciò che sei.
Con questo non intendo dire che non dobbiamo tentare di modificarci o di migliorarci. Dico solo che il primo passo per stare bene con noi stessi è quello di accettarci e amarci. E proprio nel momento in cui ci accettiamo possiamo guardare bene come siamo, il nostro valore fondamentale e, volendoci bene, potremo accorgerci meglio e accettare i nostri "errori", i nostri "limiti", i nostri "difetti" e finalmente modificarli, se lo riteniamo necessario o importante.
 
Ma come si fa? Come si fa ad "amarsi"?
 
Spesso nella mia pratica come psicoterapeuta mi capita di lavorare con persone che affermano su di sé cose come: "non sono riuscito a superare questo esame universitario...sono una frana, un buonanulla! avrei dovuto, avrei potuto...".
Ma riflettiamo un attimo su quest'affermazione:
Esame andato male. Perché? non ho studiato abbastanza/ho avuto un vuoto di memoria/mi sono emozionato= IO SONO una frana.
Qual è l'errore?
Giudicare da un errore che ho commesso, dunque da un comportamento emesso (male), la mia ESSENZA. Il giudizio è su me, non su ciò che ho sbagliato/fatto male.
Sono sicura che ti è capitato. Sono certa che la maggior parte delle persone fa questo errore, in automatico. Non lo facciamo apposta, ci é stato tramandato, l'abbiamo copiato, assorbito.
 
Ma come pensi che possa influire su questa persona un tale giudizio totalizzante? Qual è l'effetto che avrà al suo interno e poi, di conseguenza, sul suo comportamento/atteggiamento futuro?
Inciderà ovviamente sulla sua auto-stima, ovvero sull'immagine che ha di sé. E se la sua auto-stima è bassa (perché di certo dicendosi che è un buonanulla quella è l'immagine che avrà di sé! il che non è affatto piacevole), secondo te, cosa rischia che succeda?
 
Una persona con problemi di auto-stima un giorno mi ha detto: "io tendo a dare per scontato quando riesco a far bene una cosa. Ma quando sbaglio sono molto severo con me e mi arrabbio dicendomi che sono uno stupido! Lo faccio per spronarmi". La mia risposta è stata: "e come pensi di costruire la tua auto-stima e, dunque, essere sereno se ogni volta che sbagli ti giudichi come persona, e in più quando invece fai qualcosa fatto bene lo svaluti non riconoscendolo e non celebrandolo?".
Non è facile celebrare i nostri successi, ma svalutarci per i nostri errori si. Però, lo ripeto, è un errore.
 
L'insoddisfazione, la dipendenza affettiva, la dipendenza dalle droghe o dai videogiochi e molti mali del nostro secolo sono causati dal Non Amore verso Sé. Giudicare il nostro valore dai nostri comportamenti, dai nostri successi o da ciò che possediamo (peggio ancora!) crea una frattura incolmabile dentro di noi, un vuoto esistenziale che crea un vortice infinito di alti e bassi interiori a seconda di ciò in cui riesco o in cui fallisco, che faccio bene o che faccio male, a seconda di chi mi ama o chi non mi ama più, dalla droga che assumo o non assumo...
 
L'amore verso noi stessi non è egoismo, come ci insegnano, non è atto narcisistico, è la chiave della felicità, della serenità. E se sono sereno posso fare tanto anche per gli altri. Sarò più aperto, più benevolente, più empatico. E questo è egoismo? Io non credo proprio.
 
Gererdo Schmedling Torres (filosofo colombiano) ha detto che quando ami te stesso smetti di trovare motivi per lottare, soffrire ed entrare in conflitto con la vita. E' vero, è proprio così: quando smetti di basarti sui tuoi comportamenti per sapere se vali o no, oppure sull'amore che gli altri nutrono nei tuoi confronti, finalmente ti liberi dal conflitto interiore.
Eh si, perché quando qualcuno ti avanza una critica o te stesso ti critichi per un tuo comportamento è molto più difficile accettare l'errore.
 
Prova a dirti questa frase: "non hai fatto un buon lavoro, sei un imcompetente!", che effetto ti fa?
E ora prova a dirti questa: "non hai fatto un buon lavoro, sono sicuro che puoi fare meglio", come ti fa sentire? Immagino che la prima ti butti giù di umore. Beh si, perché intacca il tuo valore personale. Mentre la seconda, anche se ti fa notare il tuo errore, non giudica la tua essenza, anzi ti incita a far meglio.
 
Possiamo accettare i nostri errori solo quando siamo sicuri di noi. Non dipende tanto dall'umiltà quanto dall'auto-stima, da quanto sono solido dentro. Se non lo sono, ogni insuccesso avrà lo stesso effetto del vento sulle nuvole, si spostano a seconda di come soffia.
 
Qualche suggerimento pratico per imparare ad amarti?
Beh oltre a riflettere su tutto ciò che abbiamo detto finora e, dunque, lavorare sulle tue convinzioni disfunzionali che ti portano a giudicare il tuo valore dai tuoi comportamenti (e quindi a non amarti)... sicuramente ci sono aspetti importanti da sviluppare per aumentare il tuo valore personale.
 
Vediamoli in questo elenco (da approfondire nelle nostre prossime tappe):
 
1. cura il tuo corpo: l'alimentazione, l'esercizio fisico
 
2. esprimi le tue idee
 
3. passa del tempo da solo per riflettere, per prandere contatto con te
 
4. porta a termine i tuoi progetti/lavori/impegni
 
5. apriti agli altri, passa del tempo con gli altri
 
6. smetti di cercare la perfezione
 
7. smetti di paragonarti agli altri
 
8. impara a dire No
 
9. valorizza i tuoi punti di forza (piuttosto che focalizzarti sui tuoi limiti!)
 
10. esprimi gratitudine spesso nei tuoi confronti per come sei o per qualcosa he hai fatto
 
11. mantieni le distanze da chi ti fa soffrire
 
12. coltiva i tuoi sogni
 
13. fai qualcosa per uscire dalla tua zona di comfort
 
 
Ci sentiamo per la prossima tappa e buon lavoro! ;-)
 
Sarah

Oggi....

Oggi facciamo si che la compassione e la solidarietà muovano il nostro pensiero verso le persone che soffrono per la tragedia accaduta..

RUBRICA "GUARDIAMOCI DENTRO" - PRIMA TAPPA: La paura del Giudizio

La mia rubrica GUARDIAMOCI DENTRO ha l 'obiettivo di accompagnarti nel tuo "viaggio dentro te stesso/a" percorrendo alcune tappe importanti che riguardano temi fondamentali per sviluppare crescita personale, auto-consapevolezza, sviluppo ed espansione di Sé
Ecco la nostra prima tappa, sei pronto/a a scoprirla?


"Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile. Sempre."
 (Platone)


LA PAURA DEL GIUDIZIO DEGLI ALTRI: COME GESTIRLA IN 4 PASSI
Oggi vorrei parlarti della paura del giudizio degli altri.
Eh si! Credo proprio che questo sia uno di quei temi che riguardano, chi più chi meno, un po' tutti noi. Non ci credi?
Già Maslow, tra il 1943 e il 1954, parlò, nella sua piramide dei bisogni, del bisogno di appartenenza e amore. Lo descrisse come il bisogno di sentirsi vicini e apprezzati dagli altri, come un aspetto fondante dell'essere umano. Io penso proprio sia così... e lo penso perché lo so attraverso la mia esperienza personale e anche attraverso la mia esperienza professionale, come psicoterapeuta.

Spesso nella mia vita mi sono ritrovata a chiedermi se gli altri avrebbero giudicato positivamente quello che facevo o quello che dicevo. Spesso mi sono ritrovata a sentirmi inadeguata e con la sensazione di avere tutti gli occhi puntati addosso. Preoccupata più di come pensavo mi avrebbero "fatto sentire" gli altri, ciò su cui non mi soffermavo era il MIO giudizio (inflessibile) su di me. Ero io il peggior giudice di me stessa, ero sempre io la Regina dell'Auto-Critica (spesso più distruttiva che costruttiva) e, di conseguenza, andavo in giro temendo il giudizio degli altri. E, con il passare del tempo, più pensavo di aspettarmi una critica da parte degli altri più mi chiudevo in me stessa, ascoltando le vocine che mi ripetevano quanto ero stata sciocca a dire una certa cosa, o quanto non ce l'avrei mai fatta a farne bene un'altra. Immagino sia capitato anche a te di sentirti insicuro (quando non addirittura terrorizzato!) nel parlare in pubblico, nell'esporre una tua idea innovativa, nel dire la tua su qualcosa su cui gli altri la pensano diversamente... o anche solo a vestirti in un modo diverso da quello usuale.

Ma ti sei mai chiesto se veramente gli altri sono esenti dalla paura del giudizio degli altri?
E ti sei mai chiesto se è vero che tutti stanno lì sempre pronti a puntare il dito?

Io credo che, a meno che non ci abbia già lavorato uscendo dal tunnel del giudizio, o a meno che non non ne sia ancora assolutamente consapevole, anche tu hai questa stessa paura... e come te quasi tutti. E se tutti abbiamo paura di essere criticati, non siamo dunque tutti nella stessa barca?

E' vero, è nell'essere umano la tendenza a dare una cornice alle cose e, di conseguenza, a giudicare in base a quello che ci troviamo difronte. Spesso senza troppi dati a disposizione tendiamo a esprimere un giudizio globale.

Jung disse "pensare è molto difficile, per questo la maggior parte delle persone giudica". Frase non potrebbe esser più vera. Perché? Perché se ci fermiamo a pensare, a riflettere su noi stessi potremo scoprire molte cose e soffermandoci su noi stessi capiremmo che giudicare gli altri e noi stessi non è corretto. Ma non nel senso che pensi tu CORRETTO. Non nel senso "giusto", ma nel senso "adeguato" "conveniente" "opportuno".

E perché non è corretto giudicare gli altri? Riflettiamo insieme.

Immagina di essere uscito/a di casa per andare a fare la spesa... entri nel supermercato più vicino a casa tua, prendi il carrello, e con la lista della spesa alla mano inizi a selezionare i prodotti che ti servono. Fai il giro del negozio, finalmente arrivi alla cassa e ti metti in fila. All'improvviso senti un trambusto e vedi arrivare un signore che, con una certa prepotenza, passa avanti a tutti. Arrivato dalla cassiera le punta un coltello ordinandole di consegnargli tutti i soldi in suo possesso. Presi i soldi scappa via di corsa.
Cosa penseresti? Che è un ladro probabilmente, che è un farabutto, un delinquente e chissà cos'altro...
Poi esci dal supermercato e torni a casa un po' frastornato/a. Dopo qualche giorno vieni a sapere da un amico che quel signore, proprio quello cui avevi indirizzato il tuo giudizio, aveva commesso la rapina per comprare una costosa medicina al suo bambino gravemente ammalato e bisognoso di immediate cure. A questo punto cosa penseresti?? Dovresti fermarti a riflettere e chiederti: ma se anche io mi trovassi senza risorse, nessuno potesse aiutarmi, fossi solo al mondo, e avessi un figlio gravemente ammalato cosa farei? Beh, credetemi, ognuno di noi ci penserebbe seriamente...

Cosa significa tutto ciò? Perché mi stai portando questo esempio? ti chiederai...

Beh questa piccola storia deve farci riflettere sul fatto che noi tutti spesso giudichiamo dai comportamenti. Giudichiamo gli altri, ma anche noi stessi. E spesso siamo inflessibili.

Ma i nostri comportamenti non determinano chi siamo! Posso comportarmi in modi opposti nell'arco della stessa giornata. Ma facciamo un altro esempio...
A casa con i miei figli sono una madre dolce e affettuosa la maggior parte del tempo. Un giorno usciamo di casa e mia figlia attraversa la strada senza guardare prima di farlo, rischiando di finire sotto un'auto. Reagisco urlandole e sgridandola con forza. Tu vedi solo la parte finale della scena e non mi conosci. Cosa penseresti di me? "Che madre aggressiva, poco affettuosa". Ma sarebbe davvero "corretto" il tuo giudizio? E' vero che sono una madre poco affettuosa o, peggio, aggressiva, o forse sono una madre amorevole e premurosa che, semplicemente, ha avuto paura che la propria figlia finisse per farsi molto male o anche peggio?

Riflettiamo attentamente, facciamo spazio dentro di noi per pensare che il nostro valore non dipende dai nostri comportamenti. Il nostro valore è intrinseco, è dato, solo per il fatto di essere nati, di essere unici al mondo, non esiste nessuno uguale a noi. Poi possiamo comportarci in modi diversi, di cui a volte possiamo anche pentirci, che possiamo migliorare, ma questi non determinano chi siamo o se e quanto valiamo.

Lucia Giovannini ci parla, nel suo libro Mi merito il meglio (che consiglio a tutti), della differenza tra auto-stima e auto-efficacia. Sono due aspetti diversi dell'essere umano. L'auto-stima dipende da ciò che noi pensiamo di noi, dal valore che ci diamo, dall'immagine che abbiamo di noi stessi. L'autoefficacia invece è ciò che faccio, come mi comporto. La prima dovrebbe rimanere stabile, mentre la seconda può oscillare. Quando il nostro senso di auto-efficacia oscilla non ne soffriamo perché la nostra autostima, ovvero il nostro senso di valore personale, rimane solido. E' da qui che partiamo, dal valore che ci attribuiamo, sono le radici dell'albero, sono le fondamenta del palazzo.

Se riflettiamo, comprendiamo e lavoriamo su tutto ciò possiamo raggiungere un senso di pace e di felicità.
Ma come si fa a rendere stabile il palazzo quando c'è il terremoto?

Prova a seguire questi 4 passi... ma non mi fraintendere, sono 4 passi che richiedono introspezione e lavoro su di sé... non sono una formula magica...

Vediamoli nel dettaglio:

1) Quando senti forte il bisogno di giudicare, quando ti accorgi che ti stai dando addosso, a te stesso/a o agli altri, fermati e ascoltati.
Fermati e chiediti:
Cosa sto vedendo di me? Il comportamento
E cosa non sto vedendo? Il contesto, il perché mi comporto in quel modo.

2) Guarda, accogli l'errore e vai avanti.
Quando agisci puoi fallire. Per non fallire dovresti rimanere per sempre immobile, fermando la tua vita. Anche i più grandi hanno fallito: Steve Jobs fu licenziato dall'azienda che lui stesso aveva creato, Michael Jordan fu scartato dalla squadra di basket del suo liceo e ancora Walt Disney fu licenziato da un giornale per "scarsa immaginazione e "incapacità di avere idee originali"...e chissà quanti altri.

3) Accetta l'errore e non giudicarti.
Se non accetti di aver sbagliato, di essere fallibile nella tua auto-efficacia non riuscirai ad andare avanti. Se non accetti che anche se hai sbagliato, anche se hai fallito, non significa che SEI un Fallito, ma che puoi recuperare, puoi modificare i tuoi comportamenti, non riuscirai ad andare avanti.

4) Vai avanti, guardandoti sempre dentro.
Vai avanti sempre, anche se hai fallito, senza giudicarti. Quello che puoi fare è vedere i comportamenti che metti in essere e modificarli, in una parola Crescere. Prova dunque nuovi modi di pensare, modifica le tue convinzioni, modifica i tuoi comportamenti. Così facendo riuscirai a provare emozioni più piacevoli e a sapere quanto vali, a prescindere da ciò che fai.

Una volta che avrai stabilizzato la tua auto-stima sapendo che tu vali a prescindere, per la tua unicità, e una volta che avrai capito che i tuoi comportamenti non fanno la persona, una volta che avrai imparato ad accettare che sei fallibile ma che puoi modificarti, allora non avrai più paura del giudizio degli altri! E il tuo impegno, a quel punto, sarà smettere anche di giudicare gli altri.

Buon lavoro!

p.s.: mi piacerebbe molto ricevere un tuo feedback... se ti va, scrivilo nei commenti qui sotto.

Fattori di rischio nello sviluppo di comportamenti aggressivi nei bambini: il ruolo dell’attaccamento

Quando si parla di fattori di rischio si fa riferimento a particolari caratteristiche o processi ritenuti all’origine del problema.
Gli eventi che si verificano durante l’infanzia e l’età prescolare sembrano portare allo sviluppo di disturbi nella condotta in età scolare, violenza nell’adolescenza e disordini psichiatrici in età adulta (Loeber, 1991; Robins, 1991).
Un fattore di particolare importanza è la qualità dello sviluppo della relazione genitore-bambino. In particolare,  gravi disordini nell’attaccamento portano allo sviluppo di comportamenti aggressivi nei bambini, comportamenti controllanti e disturbi nella condotta. Già a partire dai 5-6 anni, questi bambini mostrano mancanza di responsabilità, autogratificazione a spese altrui, disonestà e disprezzo per gli standard sociali (Raine, 1993). Secondo Bowlby (1969) un attaccamento problematico nei primi 3 anni di vita può portare ad una psicopatia affettiva, ossia all’incapacità di formare relazioni affettive significative, unita allo sviluppo di una forte rabbia, scarso controllo degli impulsi e assenza di rimorso.
Prima di soffermarci sull’importanza dell’attaccamento, è bene passare brevemente in rassegna ulteriori fattori significativi che potrebbero contribuire allo sviluppo di comportamenti aggressivi nei bambini e disordini della condotta.


Comportamenti aggressivi nei bambini: i fattori di influenza

Una combinazione di fattori emotivi, sociali e biologici possono interagire tra loro e promuovere comportamenti violenti e acting-out antisociali, in particolare l’interazione tra vulnerabilità interna (es. deficit emotivi e/o cognitivi) e fattori ambientali negativi (es. abusi o trascuratezza), possono dar vita a veri e propri disturbi della condotta (Lewis, 1990).

Ambiente familiare

Un significativo fattore di rischio è dato dall’ambiente familiare. Numerose ricerche hanno messo in luce una forte correlazione tra particolari aspetti dell’ambiente familiare e comportamenti aggressivi nei bambini e negli adolescenti, in particolare un basso livello socio economico (Sameroff, 1987), l’essere genitori single (Webster-Stratton, 1990), alti livelli di stress e depressione materna (Campbell, 1990) e l’esposizione a violenza fisica e psicologica (Juoriles et al., 1980), contribuirebbero alla formazione di condotte distruttive. Spesso si tratta di genitori con personalità antisociali, che elargiscono al bambino dure punizioni fisiche, non forniscono un’adeguata supervisione e sono poco coinvolti e presenti nella vita del figlio.

Fattori ambientali

Oltre alla famiglia, il bambino viene anche a contatto con l’ambiente esterno che può fornirgli modelli ed esempi che esaltano la violenza e in molti casi la giustificano. Quando si parla di fattori ambientali si fa riferimento ad un’atmosfera altamente impoverita, caratterizzata da modelli di violenza all’interno di comunità e dall’immediato accesso alla violenza fornito dai media. I comportamenti violenti possono infatti essere in larga parte appresi. I bambini cresciuti in questi ambienti apprendono che la violenza è un modo per risolvere i problemi e già dall’età prescolare viene a formarsi un sistema di credenze che induce all’uso della violenza: ‘l’aggressività è un modo legittimo per esprimere sentimenti, risolvere problemi, aumentare la propria autostima e raggiungere il potere’ (Shure &Spivak, 1988; Slaby & Guerra, 1988).
Un’ulteriore fonte di apprendimento è la TV, infatti si è visto che bambini che guardano cartoni animati violenti sono più predisposti a picchiare i compagni di scuola, non rispettare le regole all’interno della classe e a discutere con le insegnanti; questi bambini potrebbero risultare, spesso, insensibili al dolore e alla sofferenza degli altri (Huston et al., 1992).

Fattori biologici

Ad arricchire il quadro dei fattori di rischio nello sviluppo di disturbi della condotta e comportamenti aggressivi nei bambini , contribuiscono anche i fattori biologici, quali l’esposizione prenatale a droghe e alcool, problemi nello sviluppo del feto, stress materno, complicazioni nel parto e nascite premature, deficit nutrizionali e background genetico.
Come ben sappiamo la violenza non è correlata all’esistenza di un singolo gene, ma a tratti che potrebbero essere ereditati, come ad esempio un temperamento disinibito ed impavido, iperattività e problemi attentivi. Molti studi indicano, inoltre, come problemi cognitivi e linguistici possono precedere lo sviluppo di comportamenti violenti, in particolare sembrerebbe che bambini con disordini della condotta mostrerebbero deficit nell’espressione verbale e nella comprensione linguistica, nonché deficit delle funzioni esecutive correlati a disfunzioni del lobo frontale sinistro (Beitchman, Nair, Clegg, Ferguson & Patel, 1986; Schonfeld, Shaffer, O’Connor & Portnoy, 1988; White, Moffin & Silva, 1989, Gorenstein, Mammato & Sandy, 1989).


Comportamenti aggressivi nei bambini: il ruolo dell’attaccamento

Oltre ai fattori familiari, ambientali e biologici, particolarmente rilevante nello sviluppo di comportamenti aggressivi nei bambini risulta essere lo stile di attaccamento.
La teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969, 1973, 1979, 1980, 1988) postula l’esistenza nell’uomo di una tendenza innata a ricercare per tutto l’arco di vita la vicinanza protettiva di una figura ben conosciuta (di riferimento) che accudisce e protegge, ogni volta che si costituiscono situazioni di pericolo, dolore, fatica, solitudine. Quando si raggiunge il riavvicinamento con essa, dopo una fase di lontananza, l’attivazione fisiologica e le emozioni si attenuano e l’individuo si tranquillizza.
L’attaccamento è un sistema motivazionale a base innata che insieme con quelli dell’accudimento, della cooperazione, a quello agonistico e sessuale (Liotti e Intreccialagli, 1992; Liotti, Monticelli, 2008) si attiva nelle relazioni adulte solo in momenti esistenziali e in contesti ambientali particolari e specifici.
All’interno del sistema di attaccamento vengono evocate emozioni di paura, collera, tristezza, gioia e sicurezza, attraverso cui si modula la richiesta di cura e di vicinanza e  si sollecita nel genitore il sistema motivazionale innato di accudimento.
Con il passare del tempo le modalità attraverso le quali si entra in relazione con le figure di riferimento si generalizzano, arrivando a formare gli Internal working model, ossia rappresentazioni di sé, dell’altro e di sé con l’altro, schemi cognitivi interpersonali che regolano in direzioni individualmente diverse il comportamento di attaccamento su base innata (Ainsworth et al., 1978). Queste rappresentazioni apprese costituiscono una caratteristica personale che modella le relazioni interpersonali, portando alla formazione di uno specifico stile di attaccamento: sicuro o insicuro (evitante, ansioso-ambivalente, disorganizzato).

Attaccamento sicuro

Un tipo di attaccamento definito sicuro prevede che il bambino abbia sicurezza e protezione dalle vulnerabilità attraverso la vicinanza con il caregiver. In questo contesto risultano fondamentali la sensibilità e la responsività materna che si esplicano in: percezione accurata dei segnali espliciti e delle comunicazioni implicite del bambino, interpretazione accurata dei segnali percepiti, sintonizzazione affettiva (condivisione empatica), risposta comportamentale, ossia prontezza e appropriatezza della risposta, completezza della risposta e costanza (prevedibilità).
Attraverso uno stile di attaccamento sicuro, il bambino apprende funzioni fondamentali per il suo sviluppo:
  • Impara le basi della fiducia e della reciprocità, che gli serviranno come modello per tutte le future relazioni affettive;
  • Esplora l’ambiente con sicurezza, fattore che lo porterà ad un buon sviluppo cognitivo e sociale;
  • Sviluppa l’abilità di autoregolazione, che gli permetterà un efficace controllo degli impulsi e delle emozioni;
  • Crea le basi per la formazione dell’identità, che includerà il senso di competenza, l’autostima e il giusto bilanciamento tra autonomia e dipendenza;
  • Da vita ad una morale prosociale, che comporterà la formazione di atteggiamenti empatici e compassionevoli;
  • Genera un sistema di credenze nucleari, che comprendono una valutazione cognitiva del sé, del caregiver, degli altri e della vita in generale;
  • Sarà protetto da stress e traumi, attraverso la ricerca attiva di risorse e la resilienza.
La creazione di una relazione di attaccamento sicuro tra madre e bambino è il principale fattore protettivo contro la formazione di comportamenti violenti e pattern cognitivi e comportamentali antisociali.
Gli specifici fattori protettivi collegati all’attaccamento che riducono il rischio di sviluppare condotte violente e comportamenti aggressivi nei bambini sono:
  • L’abilità di regolare e modulare impulsi ed emozioni: la funzione primaria dei genitori è aiutare il bambino a modulare l’arousal attraverso la sintonia e la capacità di una buona gestione del tempo nel gioco, nella nutrizione, nel conforto, nel contatto fisico, negli sguardi, nella pulizia e nel riposo; in sintesi insegnando al bambino le competenze che gradualmente lo aiuteranno a modulare il suo arousal;
  • Lo sviluppo di valori pro sociali, empatia e moralità: un attaccamento sicuro promuove valori e comportamenti prosociali che includono l’empatia, la compassione, la gentilezza e la moralità;
  • Stabilire un solido e positivo senso di sé: i bambini che hanno una basa sicura, caratterizzata da risposte appropriate da parte del caregiver e dalla sua disponibilità, hanno più probabilità di essere autonomi ed indipendenti durante l’arco dello sviluppo. Esplorano l’ambiente con poca ansia e maggiore abilità, sviluppando una maggiore autostima, abilità di mastery e differenzazione di sé. Questi bambini sviluppano credenze positive e aspettative circa sé stessi e le relazioni interpersonali (positive internal working model). Credenze positive su di sé: ‘sono buono, ricercato, competente e amabile‘; Credenze positive sui genitori: ‘loro sono responsivi ai miei bisogni, sensibili e affidabili‘; Credenze positive sulla vita: ‘il mondo è sicuro, la vita merita di essere vissuta‘;
  • L’abilità di gestire stress e avversità: numerose ricerche dimostrano come l’attaccamento sicuro costituisca una difesa nello sviluppo di psicopatologie associate a traumi ed avversità (Werner & Smith, 1992);
  • L’abilità di creare e mantenere relazioni emotivamente stabili: l’attaccamento sicuro implica una maggiore consapevolezza degli stati mentali degli altri, che non solo produce un rapido sviluppo della moralità, ma protegge il bambino dallo sviluppo di comportamenti antisociali.
Riassumendo si può affermare che i primi anni di vita costituiscono un’importantissima fase di sviluppo, nella quale il bambino apprende la fiducia, i pattern relazionali, il senso di sé e le abilità cognitive.

Attaccamento insicuro

Purtroppo, però, non tutti i bambini sperimentano un attaccamento sicuro, caratterizzato da amore, sicurezza e genitori che offrono protezione. I bambini con una marcata compromissione nell’attaccamento spesso diventano impulsivi, oppositivi, mancano di coscienza ed empatia, sono incapaci di dare e ricevere affetto e amore, esprimendo, quindi, rabbia, aggressività e violenza.
Le cause di disordini nell’attaccamento (attaccamento insicuro) possono essere svariate: abuso, neglect, depressione o patologie psichiatriche dei genitori (contributi genitoriali), difficoltà temperamentali, nascita prematura o problemi prenatali del feto nel bambino (contributi del bambino) e povertà, casa o comunità in cui si esperisce violenza e aggressività (contributi ambientali).
Un attaccamento insicuro può influenzare molti aspetti del funzionamento del bambino ed in particolare:
  • Il comportamento: il bambino tenderà maggiormente ad essere oppositivo, provocatorio, impulsivo, bugiardo, fino a commettere piccoli furti, aggressivo, iperattivo e autodistruttivo;
  • Le emozioni: il bambino proverà una rabbia intensa, si sentirà spesso depresso e senza speranze, sarà lunatico, avrà paura e sperimenterà l’ansia, sarà irritabile e avrà delle reazioni emotive inappropriate di fronte agli eventi esterni;
  • I pensieri: avrà credenze negative su sé stesso, sulle relazioni e sulla vita in generale, problemi attentivi e di apprendimento e mancherà del ragionamento causa-effetto;
  • Le relazioni: mancherà di fiducia verso gli altri, sarà controllante, manipolativo, avrà relazioni instabili con i pari e tenderà ad incolpare gli altri per i propri errori;
  • Il benessere fisico: il bambino potrebbe presentare enuresi ed encopresi, potrebbe essere più incline agli incidenti e avere una bassa tolleranza del dolore;
  • La morale: saranno spesso presenti mancanza di empatia, di compassione e di rimorso.
Nei bambini dai 2 ai 3 anni di età genitori non responsivi e trascuranti possono generare disperazione, eccessiva tristezza o l’esprimersi di una rabbia fuori controllo; questi bambini saranno portati a ricercare disperatamente l’attenzione dei genitori attraverso comportamenti negativi, caratterizzati da irrequietezza e irritabilità. A partire dai 5 anni tenderanno ad essere molto arrabbiati, oppositivi e a mostrare poco entusiasmo nell’apprendimento; svilupperanno inoltre una marcata incapacità di controllare gli impulsi e di gestire le emozioni.
In particolare, numerose ricerche hanno dimostrato che un attaccamento disorganizzato (questo stile si sviluppa quando i bambini percepiscono la figura d’attaccamento come fortemente scostante o addirittura minacciosa; il modello negativo che il bambino si crea della principale figura di riferimento lo porta ad evitare da un lato le richieste d’aiuto e i conflitti e dall’altro a non fidarsi degli altri; lo stato d’animo principale è la paura e la difficoltà a tenere insieme le diverse parti dell’io) è associato con perdite irrisolte, paure e traumi di uno o entrambi i genitori. Le madri di bambini con attaccamento disorganizzato hanno, spesso, storie di violenze familiari e abusi, piuttosto che trascuratezza emotiva prolungata, sono spaventate dalle memorie del trauma passato, possono presentare problemi di dissociazione e far vivere i loro figli all’interno di un dramma familiare irrisolto (Main & Goldwyn, 1984).
Queste mamme non sono assolutamente sincronizzate con le richieste dei loro bambini, rimandando ad essi messaggi confusi, come ad esempio stendere le braccia verso il bambino, mentre stanno indietreggiando, e risposte inappropriate ai segnali dei bambini, come ridere mentre il bambino piange (Lyons-Ruth, 1996; Main, 1985; Spieker & Booth, 1998). Questo dimostra come uno stile di attaccamento disorganizzato, così come ogni altro stile di attaccamento, possa avere una trasmissione intergenerazionale. Genitori cresciuti in famiglie violente e maltrattanti trasmettono le loro paure e i loro conflitti irrisolti ai figli attraverso abusi o deprivazione emotiva. In questo modo i bambini si trovano a vivere un vero e proprio paradosso, da una parte la vicinanza al genitore incrementa le paure del bambino, dall’altra lenisce le sue paure (Lyons-Ruth, 1996; Main & Hesse, 1990).
Le credenze che questi bambini sviluppano sono caratterizzate da autovalutazioni negative e disprezzo verso sé stessi. In particolare penseranno di essere cattivi, incompetenti e non amabili, che i genitori non rispondono ai loro bisogni, sono insensibili e inaffidabili e che il mondo è pericoloso e la vita non merita di essere vissuta. Questo pattern di credenze porta il bambino ad un senso di alienazione dalla famiglia e dalla società in generale; egli sentirà sempre il bisogno di controllare gli altri e di proteggere sé stesso in ogni momento attraverso l’aggressività, la violenza, la rabbia e la vendetta.
Sono proprio i casi di attaccamento disorganizzato a portare allo sviluppo di comportamenti aggressivi nei bambini e disturbi della condotta, fattori che potrebbero poi contribuire allo sviluppo di una personalità antisociale.


Conclusioni

In conclusione, l’attaccamento insicuro ed in particolare uno stile di attaccamento disorganizzato, favorisce comportamenti aggressivi nei bambini e devianza sociale a causa dell’utilizzo dell’aggressività come reazione difensiva e per l’assenza di considerazione dei bisogni e dei sentimenti degli altri. Ma questo non è sufficiente per considerare l’attaccamento insicuro/disorganizzato come sinonimo di comportamento aggressivo. La maggior parte dei bambini cresciuti in ambienti poveri e degradati manifesta un attaccamento insicuro, ma non per questo in età adulta si comporta in modo criminale o violento.
Solo nei casi estremi di persone cresciute in condizioni di grave pericolo, di abbandono e di maltrattamento emotivo o fisico, la manifestazione dell’aggressività può risultare non funzionale al mantenimento della relazione, pur svolgendo ugualmente la funzione difensiva di limitare o interrompere il legame di attaccamento per proteggere il Sé dalla pericolosità di genitori (Crittenden, 1999). In questi casi la sofferenza e la paura inducono ad utilizzare l’aggressività non per riavvicinarsi alla figura di attaccamento, ma per controllarla e distruggerla, per cui la vendetta e la punizione diventano obiettivi primari predisponendo a futuri comportamenti violenti e antisociali.
Un intervento d’elezione per prevenire lo sviluppo di comportamenti aggressivi nei bambini , sarebbe quello di favorire in età precoce l’incremento di abilità che possano ridurre la necessità di questi bambini di agire in maniera violenta nel loro ambiente. Una modalità interessante a tale riguardo potrebbe essere quella di affiancare al tempo dedicato al gioco libero, lo sviluppo di attività di gioco strutturate che promuovano in tutti i bambini empatia, abilità sociali e rafforzino l’autostima.



Festival Psicologia

 
A questo link puoi vedere il mio profilo e scaricare il voucher per un primo incontro gratuito e una tariffa agevolata per il percorso terapeutico:
 
 
 
Stiamo Fuori 2016”: il Festival della Psicologia torna a colorare le piazze di Roma  


Dopo il successo dell’edizione2015,  l’Ordine degli Psicologi del Lazio ripropone il 23 -24 maggio la sua due giorni dedicata alla “scienza della mente”, organizzata con il patrocinio del Ministero della Salute. Molte le novità: supporti didattici, giochi di ruolo, esperimenti e consulenze gratuite per conoscere meglio se stessi e valorizzare al massimo le proprie risorse . Appuntamento in piazza San Silvestro, piazza del Popolo e piazza della Repubblica  dalle 10 alle 21.  

Roma, 10 maggio 2015. Dopo il successo dell’edizione 2015, capace di richiamare oltre undicimila appassionati e curiosi, torna “Stiamo Fuori”,  il “Festival della Psicologia” organizzato dall’Ordine degli Psicologi del Lazio per fare conoscere al pubblico, in modo originale e interattivo, le numerose risorse offerte dalla scienza della mente. L’evento di quest’anno, organizzato con il patrocinio del Ministero della Salute, si concentrerà il 23-24 maggio in tre piazze della Capitale, distinte per aree tematiche: piazza San Silvestro (perinatalità e scuola), piazza del Popolo (alimentazione e cronicità) e piazza della Repubblica (lavoro e sport).   
In queste location i gazebo dell’Ordine, aperti dalle 10 alle 21, offriranno ai cittadini un’ampia gamma di opportunità conoscitive e ludiche per familiarizzare con la psicologia: sarà possibile fruire di supporti didattici inediti; accedere a simulazioni, attivazioni e giochi di ruolo; prendere parte a test ed esperimenti scientifici; confrontarsi sui propri obiettivi, di vita o di lavoro, con la consulenza di specialisti accreditati. Tutti coloro che prenderanno parte all’edizione 2016, poi, avranno  diritto a un voucher - scaricabile all’indirizzo http://www.festivalpsicologia.it/psicologi-aderenti/  - per una consulenza psicologica gratuita, eventualmente convertibile in un percorso di terapia a tariffa agevolata.
Il Festival 2016 intende trasmettere un’idea di “circolarità” di esperienze,  relazioni, conoscenza. A questo scopo, l’Ordine degli Psicologi del Lazio ha realizzato sei e-book ricavati dai principali spunti emersi nell’edizione 2015, finalizzati a rendere ancor più coinvolgente l’esperienza dei partecipanti. I testi possono essere scaricati gratuitamente sul sito della manifestazione (http://www.festivalpsicologia.it/sezione/ebook/
 
Ciascuna location, come detto, si focalizzerà su ambiti specifici. In piazza San Silvestro, le attivazioni riguarderanno la perinatalità e la scuola: i neo-genitori potranno ricevere informazioni sul comportamento del bambino e sulle scelte da adottare nei suoi primi mesi di vita, mentre chi ha figli più grandi verrà consigliato su come motivarli e indirizzarli nello studio. In Piazza del Popolo, si parlerà di alimentazione e cronicità: accanto all’ampio ventaglio di temi connessi al rapporto con il cibo, si approfondiranno le questioni legate allo stress correlato agli stati di malattia. In piazza della Repubblica, infine, verranno toccate le problematiche connesse al lavoro e allo sport: chi vorrà potrà acquisire indicazioni sulla valorizzazione del proprio curriculum e delle proprie competenze, sulla formazione professionale, sulla risoluzione delle principali criticità della vita lavorativa. Gli sportivi, invece, avranno accesso alla gamma di soluzioni utili a migliorare la performance e sperimentare il “Biofeedback”: uno strumento d’avanguardia utilizzato dagli atleti professionisti per la valutazione dello stress, basato sulla misurazione di particolari parametri psicofisiologici.
“Dopo la grande partecipazione del 2015 – spiega Nicola Piccinini, presidente dell’Ordine degli Psicologi del Lazio – abbiamo deciso di prolungare l’orario della manifestazione e predisporre ancora più strumenti per l’interazione con i visitatori. Inoltre, abbiamo realizzato dei prodotti digitali gratuiti  utili ad accrescere il valore del confronto con gli specialisti. Insomma, come e più che nella passata edizione, mostreremo ai cittadini, concretamente, in che modo la psicologia può contribuire al loro benessere, migliorando su diversi versanti la qualità della loro vita”.
Nonostante sia appena alla seconda edizione, il  Festival della Psicologia è già un appuntamento molto atteso dagli appassionati e dai curiosi della disciplina. La moltiplicazione degli appuntamenti con il pubblico negli ultimi dodici mesi ha avviato un percorso che si arricchirà in futuro di altre occasioni di incontro e sperimentazione. Tutte le informazioni sull’iniziativa sono consultabili sul sito ufficiale(http://festivalpsicologia.it/ ) creato appositamente dall’Ordine degli Psicologi del Lazio (http://www.ordinepsicologilazio.it/ ).